L’uomo senza saperlo compone la propria vita secondo le leggi della bellezza persino nei momenti di più profondo smarrimento.
Milan Kundera – L’insostenibile leggerezza dell’essere
Da anni faccio un lavoro di sottrazione, come si dice in psicologichese. Capire e rinunciare alle piccole e grandi dipendenze che riempiono lo spazio e il tempo della mia quotidianità.
Era sabato, la situazione del coronavirus stava iniziando a degenerare. Avevo un accenno di raffreddore e ho deciso di rimanere a casa, per precauzione. In tempi normali non mi sarei mai fermato, avrei fatto qualcosa. Avrei lavorato. Sarei uscito. Avrei visto qualcuno.
Invece non ho fatto niente di tutto questo, sono rimasto a casa e improvvisamente mi sono sentito un po’ come Pietro, il personaggio interpretato da Nanni Moretti in Caos Calmo. Fermo e forse in attesa che qualcuno venisse a chiedere di me.
Non mi sono acceso una sigaretta: avevo appena smesso. Non mi sono aperto una birra: non bevevo più nulla già da qualche mese. Nel tardo pomeriggio mi stavo per mettere al PC, ma avevo già passato tutta la giornata di fronte a un video e la sola idea mi nauseava.
Allora mi sono fermato sulla mia vecchia poltrona Ikea, solo nella mia stanza, dicendomi che per una volta avevo voglia solo di stare solo lì seduto, in silenzio.
È allora che ho sentito improvvisamente il senso di vuoto.
Di testa, da bravo psicologo, sapevo cosa stesse succedendo, ma sentire l’emozione così forte è un’altra cosa. Paura. Horror vacui.
Non ho reagito subito, per ore ho lasciato che le mie paure facessero capolino, brevi e rapidi spezzoni di possibilità terrificanti, li guardavo come treni in transito in rapida successione.
Poi a un certo punto ho detto basta: ho chiamato una mia amica, abbiamo parlato e mi ha aiutato a calmarmi. Per alcune dipendenze c’è tempo per smettere; oppure chissà, non ha senso toglierle mai.
Mi è venuta voglia di rivedere un film: La città incantata di Hayao Miyazaki.
Ho ritrovato quello che mi aveva affascinato e identificato tanto nel personaggio del Senzavolto già dalla prima visione, con quel suo riempirsi e poi svuotarsi. Questa volta mi ha aiutato a raggiungere una nuova consapevolezza.
Mi ha aiutato a elaborare il lutto del mio vuoto.
La città incantata è tra le altre cose una acuta riflessione sul senso delle cose importanti per davvero. È il primo film d’animazione non occidentale a vincere l’oscar nella sua categoria. È un capolavoro di un grande maestro di cinema ed è il mio consiglio per scoprire il valore di fermarsi.
Larsen
Clicca sui titoli per scoprire come vedere in Italia La città incantata (foto in copertina) e Caos calmo.
“Stamo sempre a dormì, stamo a fà la fine dei bachi da seta.”
Antonio Rezza è un attore, il più grande performer vivente, così si descrive provocatoriamente. Flavia Mastrella è una scultrice e scenografa. Insieme sono Rezzamastrella: un’entità libera da ogni schema che dal 1987 crea spettacoli e performance surreali, irriverenti, amare e sarcastiche.
In un geniale corto del 1993 Antonio Rezza recita: Arrivasse uno stimolo dall’esterno. Uno.
In questo momento in cui fermarsi è un obbligo o una speranza, lo stimolo che ci arriva è il suo, per sorridere e riflettere. Lo trovate qui.
Credo profondamente che le coincidenze non esistano, anche se poi non sempre sono nelle condizioni di capire che cosa il mondo sta cercando di comunicarmi.
La cosa che non riesco a smettere di pensare in questi giorni è come le canzoni e le storie che fino a ieri sì, ti piacevano, parlavano di te, del tuo mondo, della tua generazione, oggi – in questo momento così particolare – assumono dei significati incredibilmente nuovi.
Tali da farti dire: “come facevano a sapere che sarebbe arrivato questo momento?”.
Qualche settimana fa, Bao ha ristampato Quando tutto diventò blu, una graphic novel di Alessandro Baronciani a cui sono molto legata.
Lo comprai quando uscì nel 2008 e regalai la mia copia al mio fidanzato dell’epoca: non avevo mai trovato qualcuno che fosse in grado di raccontare con tanta delicatezza la depressione, il senso di vuoto e l’incapacità di muoversi che la caratterizza.
Io all’epoca ancora non ne sapevo niente di depressione a livello clinico (mi sarei iscritta a Psicologia l’anno dopo), ma stando accanto a lui la conoscevo benissimo.
Ho incontrato di nuovo Quando tutto diventò blu nelle parole di Colapesce: un altro mi aveva fatto scoprire la sua musica e stavo ascoltando Un meraviglioso declino su un Flixbus mentre salivo a Torino. Forse era il 2017.
Ironia della sorte ha voluto che l’edizione che ho in mano oggi, la ristampa, me l’abbia regalata il mio ultimo ex-fidanzato dopo esserci lasciati qualche settimana fa.
Anche lui ama Colapesce e Baronciani, ma ritengo ragionevolmente che odi me e ancora non mi è molto chiaro il senso di questo regalo.
Però devo ringraziarlo perché mi ha dato la possibilità di rileggere questa piccola perla in questo momento di isolamento e di rottura con tutto ciò che è normale e mi ha fatto pensare molto.
Uno degli aspetti che mi ha sempre colpito della depressione grave, nelle persone che ho incontrato nella mia vita privata così come nei pazienti, è la lentezza. Questa specie di rallentamento e di quasi stand-by di tutte le funzioni vitali: come se il cervello stremato a un certo punto dicesse “basta” e facesse rallentare la macchina, fino a fermarla.
Mi ha sempre colpito forse perché io non sono capace di fermarmi o di prendermi del tempo vuoto per me, e credo sia questo ad affascinarmi tanto.
E inevitabilmente in questi giorni mi sono chiesta l’analogia con il momento di crisi che stiamo vivendo tutti insieme, come una depressione nazionale (o forse sarebbe più corretto dire mondiale, globale, generazionale, sociale?) che ci sta costringendo a stare fermi e ci sta facendo stare male, ci sta facendo mancare l’aria e mettendo davanti questo vuoto nero da cui tendiamo sempre a correre via buttandoci nelle nostre routine.
Come nella depressione clinica, bisogna imparare di nuovo a fare le cose che facevamo prima, soltanto in un modo diverso e con tempi diversi, senza forzarci.
Bisogna imparare a vestirsi, lavarsi e respirare ad un ritmo nuovo. Di nuovo, come se fosse la prima volta.
E’ difficile ma si può fare, insieme possiamo farlo.
Che questo assaggio di tavole vi faccia venire il desiderio di regalarvi questo piccolo viaggio interiore.
Z.
Per sfogliare le prime pagine di Quando tutto diventò blu di Alessandro Baronciani.
Per ascoltare Quando tutto diventò blu di Colapesce.
Fermarsi, per conoscere con maggiore intimità il proprio corpo e il proprio respiro. E’ questa la base della pratica mindfulness, che trae le sue origini dalla meditazione vipassana e si diffonde in occidente con gli scritti di Kabat-Zinn.
Il gruppo Mindful Torino integra nella pratica di consapevolezza classica in posizione seduta una visualizzazione sull’immagine della montagna, immobile al variare del buio e della luce, dei climi e delle stagioni.
In questo video un invito a sostare e radicarsi.
Il radicamento è forse il bisogno più importante e più misconosciuto dell’anima umana
Simone Weil