Il vecchio mondo sta morendo. Quello nuovo tarda a comparire.
E in questo chiaroscuro nascono i mostri.
Antonio Gramsci
Oggi vogliamo proporvi il primo contributo che abbiamo ricevuto, un testo di Andrea Giudantoni, psicologo, che ci fa riflettere su quanto siamo poco avvezzi alla noia in una società votata all’efficienza. Questa visione ci ha fatto interrogare sul futuro del sistema in cui viviamo e sulla sua sostenibilità.
Questo momento storico porterà a un cambiamento?
Qui il contributo del nostro lettore.
– In copertina un murales dell’artista Blu a Casal De’ Pazzi, Roma –
I travasi di Cactus: #leggilotuchenonchovoglia
In questi giorni, in cui sembra difficile concentrarsi, abbiamo pensato di prendere un articolo lungo e complesso e di restituirlo al web in una forma più leggera.
L’esperimento parte con l’articolo Pensare di non riuscire a pensare scritto da Graziano Graziani e pubblicato su Minima&Moralia.
Qui potete ascoltarlo scanzonatamente raccontato da Quelpostoche.
Qui, invece, trovate il testo originale.
Ultimamente sono molto presa dalla riflessione sullo sviluppo della mia professionalità e in questi giorni passo molto tempo ad arrovellarmi sui tempi e le modalità di questa fioritura.
Ho sempre la sensazione che manchi un pezzo, come se il quadro non fosse pronto, come se non mi sentissi all’altezza, nonostante il tempo e l’impegno spesi a formarmi, documentarmi, sperimentarmi.
E’ una riflessione condivisa da tanti della mia generazione che – nell’eterno sbattimento per emergere in qualche forma in questo mondo ipercompetitivo – finiscono per sviluppare frustrazioni, substrati di rabbia e accumuli di fatiche che rischiano di fare male.
L’analisi degli autori di Tlon aggiunge un pezzo in più, mettendo a fuoco il rischio di ridurre se stessi per poter stare al mondo: ridurre i propri desideri e le proprie paure, ridursi e quindi rendere impossibile a noi e all’altro di riconoscerci ed apprezzarci nella nostra pienezza.
Rifletto sul fatto che decidere di scriverne è già di per sé una contraddizione, un modo per dare una validazione pubblica a un sentimento del tutto personale, pienamente in linea con quello che Colamedici e Gancitano definiscono essere Società della Performance.
E – dove nel video si rilancia il valore etico della filosofia – a me torna in mente il ruolo politico della psicologia e della psicoterapia come luoghi in cui costruire un’alternativa e una consapevolezza nuova.
Francesetti conclude un suo articolo con queste parole, riferite all’incontro terapeutico: “Non solo il paziente cambia. La trasformazione del dolore è una trasformazione dell’eredità di una storia che cambia creativamente la situazione presente. Anche il terapeuta cambia. E con loro cambia anche il tessuto del mondo e della vita.”
La possibilità di dare dignità ai propri vissuti, di riconnettersi con le proprie emozioni e i propri desideri e di immaginare creativamente nuovi modi di condividerli è in grado di farci riappropriare di quell’intensità e di quella pienezza che come umani ci ostiniamo a ricercare – anche a rischio di ammalarci.
Eastita
Che questi fossero tempi duri me ne sono reso conto ieri che mi si è spezzato un dente e il mio dentista mi ha detto di usare l’Attack.
Ragionevole da parte vostra non fidarvi di me, ma devo confermare che non è una grande soluzione: la sensazione della colla in bocca è fastidiosa, usando lo spazzolino il dente cede e casca e mi è pure rimasto su una fetta di pizza.
È tutta colpa del pane azzimo, eppure con lui non riesco ad avercela, perché mi ha ricordato la “scrocchiarella” romana, e mentre ero lì nel mio momento “proustiano” …zac! Mi ha tradito.
Ma non ho smesso di volergli bene e ho finito di mangiarlo.
Mangio il pane senza lievito perchè a dicembre ho finalmente deciso di fare una dieta per le mie intolleranze, e non mangio più un sacco di cose.
Adesso chissà perchè quando me le concedo non mi fanno mica più tanto male.
Non so bene perchè, ma credo c’entri col fatto che fuori dalla mia finestra vedo per la prima volta tra gli alberi i nidi degli uccelli.
Ogni tanto guardo fuori e per la prima volta da più di un anno penso: “che bello”.
Che belli gli alberi e la loro sagoma che si staglia nitida sul cielo finalmente limpido!
Che bella l’anagrafe e la sua architettura ottocentesca!
Non so come mai ma non avevo mai notato che si vede la cupola del duomo e… com’è bella!
Poi passa un’ambulanza e la magia svanisce.
“La romanticizzazione della quarantena è un privilegio.”, ed è vero.
Lavoro, sono giovane, nessuno a me caro è a rischio: sono fortunato.
Quando prendo coscienza di questo ho una illuminazione: il mio privilegio è quello di poter riflettere sull’ingiustizia, e sentire la rabbia.
Larsen
“Mio padre e mia madre sono entrambi socialdemocratici. L’altro giorno, prendendoli in giro, gli ho detto: “E quindi, alla fine, non sarà la lotta di classe, ma uno stupido virus a mettere fine al capitalismo”.
Mio padre mi ha risposto con una battuta leninista: “Siamo ancora qui, no? Aspettavamo solo che i tempi fossero maturi”.
La giornalista Ece Temelkuran, nell’articolo E’ il momento di pensare al mondo che verrà parla di come la crisi climatica e la crisi dei rifugiati non siano state in grado di far aprire gli occhi alle persone sul fallimento del capitalismo. E di come un virus forse ci riesca. Di come il momento attuale renda consapevoli le persone dell’importanza della scienza e della giustizia sociale.
E di come questo momento dovrebbe smettere di farci sembrare degli ingenui idealisti se cerchiamo di trovare delle soluzioni per il mondo in cui viviamo.
Ci lascia domandandoci: “In che modo dovremmo reinventare la solidarietà per ottenere il potere politico necessario a cambiare il pianeta?”.
Il suo – e il nostro – invito è a (ri)pensarci in questo momento di distanze, di attese e – speriamo – di cambiamenti.
“Io mi sto preparando, è questa la novità” – Lucio Dalla
Buio, rumori di sottofondo. Stridori, vociare, brusio.
New York, 11 settembre 1844, molo number four: quello dove Henry Lehman, dopo essere sceso dalla nave Burgundy, dopo 45 giorni di traversata transatlantica
«Prese un bel respiro
afferrò la valigia
e con passo spedito
– nonostante non sapesse ancora dove andare –
entrò
anche lui
dentro il carillon
chiamato America»
Esattamente 164 anni dopo, il 15 settembre 2008, Lehman Brothers è il più grande fallimento nella storia delle bancarotte mondiali.
Lehman Trilogy, adattamento del testo omonimo di Stefano Massini, è ultima regia di Luca Ronconi, scomparso mentre lo spettacolo era ancora in scena. L’opera ci conduce attraverso centosessanta anni di storia del capitalismo, narrati attraverso l’epopea di una famiglia.
In questo periodo Rai Play, in collaborazione con il Piccolo Teatro di Milano, mette a disposizione la registrazione dello spettacolo effettuata nel 2015, con un cast che vede la partecipazione di: Massimo De Francovich, Fabrizio Gifuni, Massimo Popolizio e Paolo Pierobon, tra gli altri.
Non ci sono giudizi morali, intenti celebrativi o denigratori, ma semplicemente la narrazione di una storia e con essa di un’appartenenza, che riguarda tutti noi.
Per citare Massini stesso:
“Resterà deluso chi cercasse nel mio testo una Norimberga del capitalismo. Troverà al suo posto la cronistoria dei successi e degli insuccessi di tre generazioni, alle prese con gli usi e costumi di una società in rapida trasformazione […] C’è un legame indissolubile fra noi e la finanza, un legame talmente stretto che suona ipocrita il fingersi teneri agnelli sacrificati dai sacerdoti di Wall Street: la parabola dei tre fratelli Henry, Mayer ed Emanuel con i loro discendenti descrive il vincolo di sangue anticamente creato fra il futuro sognato dagli uomini e le soluzioni dei finanzieri per rendere possibile quel futuro. Tuttora”.