La vita non si poteva controllare, fluiva come acqua da buchi microscopici.
Clara Sanchez
Il 31 Dicembre 2010 mio padre ha ufficialmente smesso di fumare.
Con un rituale ben costruito e con tutta la cura che si addice a un momento che cambierà per sempre le cose, ha deciso esattamente quale sarebbe stato il piatto per la cena, quale l’ultimo film da guardare e – allo scoccare della mezzanotte – ha consumato l’ultima MS morbida della sua vita, dopo circa quarant’anni da accanito fumatore.
Da allora la sua frase classica ogni qual volta tiro fuori dalla borsa il mio tabacco rimane: “Voi non apprezzate la libertà!”
Non ho alcuna intenzione di smettere di fumare. Non ora. Ma in questi giorni penso spesso all’impegno necessario a smantellare un’abitudine così radicata e una dipendenza così storica. E mi chiedo come si costruisca la libertà…
Mi è sempre stato più semplice identificarla come l’esatto opposto del controllo, ma oggi in questo qualcosa stride.
Quante sigarette che non desideravo ho fumato in realtà?
Quanti bicchieri ho bevuto in più?
Quante volte mi sono trascinata alla fine di una serata senza alcuna voglia di farlo davvero?
Quante volte ho mangiato troppo senza aver davvero fame?
Con quanti uomini che non desideravo ho fatto l’amore?
In quali e quanti modi automatici finisco per agire come se non avessi altra scelta?
E’ come se nel seguire il flusso degli eventi mi perdessi e non riconoscessi più ciò che davvero desidero. Mi muovo assecondando la direzione che maggiormente mi spinge senza imprimergli nessuna direzione. E questo a volte mi fa correre sul posto e faticare molto senza la sensazione di andare da nessuna parte.
Occorre essere attenti per essere padroni di se stessi – cantava Ferretti in Linea Gotica (pezzo tra l’altro dedicato al Comandante Diavolo – partigiano simbolo della lotta antifascista – scomparso nella giornata di ieri).
Forse non è proprio controllo, ma le volte in cui riesco a sentire il mio corpo, quando so dove sono, quando riconosco quello che sento, allora mi sembra di riacquisire la possibilità di agire in un modo nuovo. Se mi guardo agire nel mondo, se presto sufficiente attenzione a quello che mi accade nel momento stesso in cui sta accadendo, mi sembra di riuscire a recuperare tutti gli elementi necessari a poter regolare le mie scelte.
Berrò se lo desidero e questa sera forse resterò a casa, ma non mi sento più protagonista di un film già visto, prigioniera di uno schema.
E allora non voglio più lasciare andare, voglio avere abbastanza coraggio da poter trattenere con me tutto quello che può permettermi di avere scelta.
Nuova, diversa, inusuale.
Voglio avere una forma e prendere una posizione.
Eastita
La pratica della meditazione consente una maggiore sensibilità al contatto col mondo esterno e con l’altro, slegandoci dalla tendenza a controllare ogni cosa. L’osservazione della mente momento dopo momento è ciò che nelle tradizioni buddhiste permette la disidentificazione.
“Questa è la vera natura della vita: nessuno in questo mondo prova solo piacere e mai dolore, nessuno conosce solo guadagno e mai perdita. Aprendoci a questa verità, noi scopriamo che non c’è bisogno di trattenere o allontanare. Invece di provare a controllare ciò che non può essere controllato, possiamo cercare la sicurezza nella capacità di venire in contatto con ciò che accade realmente. Così si tiene conto del mistero delle cose: non giudicare, ma piuttosto coltivare un equilibrio mentale che possa accogliere ciò che viene, qualunque cosa sia. Tale accettazione è la fonte della nostra sicurezza e fiducia. […]
Se teniamo conto del mistero possiamo scoprire che, proprio nel cuore di un periodo difficile o di una situazione dolorosa, c’è libertà. In questi momenti, nei quali comprendiamo quanto siamo incapaci a controllare, possiamo imparare a lasciare andare.
Cominciando a capire tutto ciò, passiamo dalla lotta per controllare gli accadimenti della vita al semplice desiderio di relazione con essi, e questo è davvero un cambiamento radicale nel nostro modo di vedere il mondo. […]
Quando cominciamo a desiderare di sperimentare ogni cosa, la fiducia e la sicurezza che un tempo abbiamo cercato negando il cambiamento, possiamo trovarle abbracciandolo. Impariamo a metterci pienamente in rapporto con la vita, inclusa l’insicurezza.”
Sharon Salzberg – L’arte rivoluzionaria della gioia. Il potere della gentilezza amorevole e il sentiero verso la libertà
Iron Man, Batman, gli Avengers… quanti film di supereroi sono usciti negli ultimi quindici anni? Andiamo verso i 50 e un innegabile successo di critica e pubblico ha elevato il concetto di supereroe a ruolo di spicco nell’immaginario collettivo di questo inizio secolo.
“Il superuomo esiste, ed è americano”
Quali sono le conseguenze della centralità di figure superiori legate alla giustizia e alla protezione sulla nostra collettività? Cosa dice della nostra psicologia e della nostra società? Questa riflessione non è nuova ma è iniziata nel 1988 con la pubblicazione di Watchmen, una graphic novel che ha rivoluzionato il mondo del fumetto mettendo in crisi l’idea tradizionale di supereroe (in copertina).
“Quis custodiet ipsos custodes? / Who watches the watchmen? / Chi controlla i controllori?”
Alan Moore ci fa interrogare sul senso della sicurezza e della sua percezione, di quello che succede quando la deleghiamo, del rapporto con l’autorità e lo fa calando i supereroi in un mondo reale, credibile, tremendamente simile al nostro, spiazzando le nostre credenze sulla figura del supereroe e usando questa decostruzione per narrare una storia umana sociale e intima, avvincente e paurosamente tangibile e convincente.
“Venerdì notte un comico è morto a New York”
Watchmen è una di quelle opere dense, stratificate, geniali, pietre miliari della letteratura contemporanea. Dentro c’è tanto e vi troverete sicuramente un qualche tema che vi toccherà e ve lo farà amare.
E se non avete mai letto un romanzo a fumetti potete cominciare da qua; forse, dal migliore. Per gli amanti delle immagini in movimento, qui il link al film.
L
Mi sono innamorato di Torino perché era l’unica città in cui perdevo l’orientamento, in cui avevo il lusso di perdermi. Ho provato per pur poco tempo a darmene una spiegazione razionale – non trovandola – ma nel processo ho scoperto un’altra cosa di me: l’importanza di avere sempre il senso dell’orientamento nella vana illusione di poter mantenere il controllo.
Non volevo sentirmi sperduto come i protagonisti delle fiabe, o come Dante prima di addentrarsi negli inferi, ma piano piano ho riconosciuto che ha sempre albergato in me una voglia opposta che mi spingeva a distaccarmi dagli altri nelle camminate in montagna, a spegnere il navigatore e guidare in strade piccole, nascoste e mai percorse, a guardare i boschi fitti o radi che siano e senza sentieri e pensare: ora ci entro, e a volte farlo.
Ho capito che senza perdersi non si possono vivere meravigliose avventure e io avevo deciso di volerne tante. Mollare il controllo e smarrirmi, per poi ritrovarmi.
E voi, quand’è l’ultima volta che vi siete persi?
L
La Deriva – Istruzioni per perdersi di Paolo Maria Clemente