Il lavoro non viene più eseguito con la coscienza orgogliosa di essere utile, ma con il sentimento umiliante e angosciante di possedere un privilegio concesso da un favore passeggero della sorte, in breve un posto, un privilegio dal quale si escludono parecchi essere umani per il fatto stesso di goderne.
Simone Weil
Nel nostro percorso di autoconsapevolezza come persone (e come piante!) non potevamo non riflettere sulle disuguaglianze e si è materializzato davanti a noi il tema del privilegio.
La torta che vedete qui sopra (di Sylviaduckworth) sintetizza in maniera molto chiara il tema dell’intersezionalità, focalizzando tutti quegli aspetti che concorrono ad aumentare o diminuire la possibilità che una persona acceda al potere.
Qui trovate un approfondimento sul tema a cura di Elisabetta Moro.
Buona lettura!
Cactus
In virtù del mio essere nata persona privilegiata, ho iniziato a pensare al privilegio molto molto tardi: perché sono bianca-italiana-benestante-abile-neurotipica-istruita-englishspeaker.
Certo è che sono comunque donna e la mia salute mentale me la sto conquistando piano piano – però credo che gli altri privilegi che ho avuto mi abbiano protetta e mi abbiano consentito di prendermi cura di me quando ne ho avuto bisogno, soprattutto in una società in cui la salute mentale è considerata un privilegio.
Non credo avrei potuto iniziare una terapia a 19 anni se non provenissi da una classe economica medio alta: condizione agiata che da un lato mi ha permesso di coltivare la mia mente, dall’altra ha reso economicamente possibile la psicoterapia.
Andando avanti è come se i miei privilegi di nascita si fossero esponenzialmente moltiplicati: l’appartenenza a una classe medio alta mi ha permesso di studiare, studiare mi ha consentito di arrivare ad esercitare una professione che – nonostante l’avvio non facile – mi permette di riconfermare i miei privilegi di classe e permetterà a dei miei ipotetici figli di beneficiare delle stesse condizioni di partenza di cui ho beneficiato io (magari con un po’ più di cura per la salute mentale…).
È un sistema che tende all’autoconservazione e sembra essere strutturato in maniera tale che dall’interno sia difficile vederne i meccanismi, come Matrix: per cui è facile nascere privilegiati, avere gli strumenti per perpetuare la propria condizione di privilegio, morire senza essersi mai posti la domanda: e se tutto questo non fosse scontato?.
Lavorare nei servizi territoriali per la salute mentale mi ha costretto a ripensare la mia condizione perché sono contesti in cui salta all’occhio come molto spesso a una grande sofferenza corrisponda una totale (o quasi) assenza di privilegio ed è difficile non pensarla in termini causali.
Jonathan Safran Foer dice:
Anche non avere scelta è una scelta. (A cui io aggiungo: sì ma di altri).
Perché uno dei più grandi vantaggi del privilegio è la libertà di scelta, l’avere un ventaglio molto ampio di possibilità in tutti o quasi gli ambiti della vita, che si traduce in una riduzione così drastica delle possibilità di scelta per i non-privilegiati, simile al non averne alcuna.
Nonostante sia un prodotto del privilegio Ψ, credo che la psicoterapia possa invertire questi meccanismi deterministici perché permette all’individuo di essere se stesso e di vivere in modo autentico e questo si traduce inevitabilmente in un ampliamento delle possibilità di scelta. E questo privilegio guadagnato è contagioso, si ripete nelle generazioni e può portare a nuovi e bellissimi frutti.
So che non è molto e non penso che ribalterò gli equilibri del mondo, ma quando la guardo in questo modo penso che comunque non sto conservando il mio privilegio per me ma sto cercando di farlo fruttare: mi sento comunque in colpa, perché per quanto il mio privilegio mi consenta di collaborare a titolo gratuito con i servizi pubblici e di farmi pagare cifre irrisorie dai pazienti in difficoltà, comunque dormirò nel mio letto morbido del mio appartamento in affitto la cui temperatura non scende al di sotto dei 23 gradi.
E’ difficile far convivere il privilegio con la sensibilità – ci si sente una schifezza la maggior parte delle volte – però se possiamo metterlo a servizio della collettività forse non sarà stato vano.
Ψ sapete che fino al 1989 gli psicologi non potevano diventare psicoanalisti senza una vera e propria ragione scientifica ma solo per preservare il privilegio della categoria?
Un articolo di Paolo Migone della rivisita Psicoterapia e scienze umane.
Quando penso al privilegio penso a questa storiella:
«Ci sono due pesci che nuotano e a un certo punto incontrano un pesce anziano che va nella direzione opposta, fa un cenno di saluto e dice:
“Salve, ragazzi. Com’è l’acqua?” I due pesci giovani nuotano un altro po’, poi uno guarda l’altro e fa “Che cavolo è l’acqua?»
(David Foster Wallace ai giovani laureati del Kenyon College nel 2005)
Sono donna e sì, me ne sono accorta.
Il genere maschile è stato riconosciuto come genere solo negli anni ’70 del ‘900 (grazie agli studi di genere – al femminismo quindi!) prima era trattato come un genere neutro. Essere donna era una particolarità, che faceva sì (uso l’imperfetto con ottimismo) che la sua esperienza del mondo fosse a-normale.
Sono prevalentemente eterosessuale e ho preso maggiormente consapevolezza del mio orientamento grazie al fatto che un mio carissimo amico fosse omosessuale.
Se sei eterosessuale il tuo orientamento sessuale è invisibile, lo danno tuttə per scontato; non dovrai specificarlo a nessuno.
Sono bianca e dentro il mio contesto sociale e culturale nessunə noterà il colore della mia pelle. È invisibile. È considerata la normalità. È un dato neutro.
Sono abile e me ne sono accorta solo lavorando con persone con disabilità.
Sono magra. E non avevo mai pensato al mio privilegio prima di osservare una mia collega stare scomoda su uno sgabello.
Il privilegio regala l’enorme dono dell’invisibilità.
Glugluglu