Ogni cosa esiste grazie al vuoto che la circonda.
Antonio Porchia
Cari amici del Cactus,
qualche tempo fa, quando l’estate avanzava e la vita tornava a regalarci qualche sprazzo di quotidianità, una di noi è andata alla mostra di un amico (di cui potete ammirare un quadro più sotto). Tra una chiacchiera e l’altra si è finiti a parlare del bianco e del suo valore. Di come saper utilizzare il bianco possa essere segno di non aver paura del vuoto.
Questo stimolo ha decantato per un bel po’ tra i temi della nostra newsletter e oggi ve lo presentiamo, pieno di stimoli e spunti per riflettere.
Buona lettura!
Cactus
– In copertina Kazimir Malevich – Suprematist Composition: White on White, 1918 – MoMa –
Suppongo che non ci fosse alcuna colpa ad aver accumulato così tanta roba, visto che vivevo in un monolocale ed era quasi tutto vuoto; e allora cominciai a riempirlo.
Lo confesso: mi piaceva avere un oggetto per ogni utilizzo, un vestito per ogni occasione e un attrezzo per ogni operazione, perché credo mi facesse sentire sicuro, munito per ogni evenienza.
Grazie a tutta la roba che avevo saturavoogni possibile ed emergente problematica, aumentando la mia capacità di controllare l’ignoto. Poi – certo – quando mi sono trasferito il trasloco non è stato affatto uno scherzo, ma a rendere le cose più beffarde c’è stata la scoperta che molto di quello che mi ero portato dietro nella casa c’era già e quindi non mi serviva.
Ma di cosa ho veramente bisogno?
Il rischio di porsi continuamente questa domanda è di trovare poi una risposta, un obiettivo tanto chiaro che fatale; giusto per capirci meglio: se desidero una cosa soltanto, aumenta il rischio che non otterrò quello che voglio.
Ma da un po’ mi sono scoperto a non desiderare di ottenere qualcosa di specifico, ma di fantasticare su tante versioni diverse del me futuro, intente a fare le cose più disparate.
Ci sono tante cose che vorrei fare – penso – e poco importa quali: diventerò ciò che è necessario per me diventare in quel momento. Non c’è più un’unica via davanti a me, ma tanti sentieri intricati che portano un po’ ovunque e, per quanto si possa intravederne l’inizio, ogni percorso è un mistero da svelare.
La mia terapeuta ha detto che questo è il vuoto creativo: la sensazione del percepire dentro sé la libertà di uno spazio ancora da riempire, osservare le molteplici risoluzioni e dire: Ok, qualsiasi cosa sarà avrò fiducia di essermi messo sul binario giusto per quel momento lì. Ψ
Allora mi sono chiesto: di cosa non ho bisogno?
E già questa domanda ha molto più senso per me in questo momento.
Una cosa l’ho capita in realtà: ho bisogno di qualcosa di nuovo, e qualsiasi cosa sia o sarà avrà bisogno di spazio che io devo creare sottraendo, riducendo la zavorra per arrivare al necessario e all’essenziale, applicare energia per creare quel vuoto pneumatico nel mio essere che fisicamente tenderà poi a riempirsi di ciò che trova intorno e poi andare via quando la sostanza che lo compone è arida e sterile, come l’aria che respiriamo inspirando ed espirando usando il vuoto e il pieno dei miei polmoni.
Dovrò metterci cura per usare i muscoli corretti, per scegliere i posti dove c’è aria buona da respirare, e non vedo l’ora di sapere come sarò.
V.
Ψ Il vuoto creativo di cui si parla, deriva dal concetto di vuoto fertile di Fritz Perls, fondatore della psicoterapia della Gestalt. Secondo Perls la capacità di sostare nell’incertezza e nella confusione porta l’individuo ad ampliare le sue possibilità di provare nuove esperienze e acquisire maggiore consapevolezza di sè. Per fare ciò è necessario ridurre la tendenza a saturare lo spazio dell’incerto trovando spiegazioni o soluzioni immediate o già sperimentate.
Trenta raggi convergono nel mozzo di una ruota:
grazie al suo vuoto abbiamo l’utilità del carro.
Modelliamo l’argilla per farne un vaso:
e grazie al suo vuoto abbiamo l’utilità del vaso.
Ritagliamo porte e finestre nel fare una casa
e grazie al loro vuoto abbiamo l’utilità della casa.
Perciò, se l’uso dell’essere è benefico,
l’uso del non-essere è ciò che ne crea l’utilità.
Lao Tzu
Il vuoto può suscitare tante emozioni e questo è l’obiettivo dietro l’esteticissimo corto Ten Meters Tower, ambientato interamente in cima a un trampolino di dieci metri.
Gli autori hanno messo su una specie di esperimento psicologico con l’obiettivo di catturare le persone nell’atto di affrontare una situazione difficile e poter ritrarre l’essere umano nell’incertezza in modo autentico.
Per raggiungere lo scopo hanno deciso di mettere le persone in una situazione abbastanza potente da non aver bisogno di alcun quadro narrativo classico: un tuffo nel vuoto sembrava lo scenario perfetto.
La Storia Infinita – cult fantasy di fine anni 80, liberamente ispirato dal libro omonimo – occupa un posto di rilievo nella memoria collettiva dei millenials, assieme ai Goonies e altre meraviglie.
L’ultima volta che l’ho visto avrò avuto dieci anni, però mi è tornato in mente qualche settimana fa quando una mia paziente mi parlava della spaventosa sensazione di vuoto che avvertiva in quel periodo e a me è tornato in mente il Nulla.
Un concetto profondo e complesso come il vuoto, l’assenza di desideri e di sogni, viene reso un vero e proprio antagonista fiabesco: un nemico che non si può vedere ma che avvolge tutto e rischia di distruggere il futuro e la fantasia.
Ora che avete qualche anno in più vi fa ancora paura?
VUOTO è uno spazio pubblico transmediale nato per ospitare:
+ indagini collettive sulla città come sistema instabile
+ riflessioni pubbliche sull’imprevedibilità come paradigma
+ produzioni di paesaggi fisici e cognitivi fondati sull’idea dell’inatteso
+ ricerche di modalità non deterministiche di intervento sull’urbano
VUOTO – il progetto editoriale di orizzontale e Atto – vi accoglierà con una grafica pazzesca e contenuti originali e interessanti.