#32 Fight da faida

Il conflitto è la mosca del pensiero
John Dewey

Frankie Hi-Nrg – Fight da faida

– In copertina Thomas MustakiMind fusion

Carə amicə,
prima di introdurvi il tema di questa settimana, volevamo annunciarvi che Cactus sta evolvendo. Abbiamo in serra alcune idee e delle novità, tuttavia come per ogni fioritura è necessario creare le condizioni adatte affinché questa avvenga. Per questo non sappiamo, al momento, quando e in che modalità riceverete la prossima newsletter.
Intanto vi lasciamo a questo numero che parlerà di conflitto. Non ce ne vogliate per il tema poco allegro, pensate che unə di noi lo ha descritto così:
Odio il conflitto e cerco ogni volta di sottrarmi, ma – ahimé – non è sempre possibile.
Ogni volta che si accende una miccia nella mia testa spero sempre che si tramuti in questo:

Tic-Toc Tic-Toc Tic-Toc Tic-Toc
Osservo le lancette dell’orologio nel mio studio e mi soffermo sul fastidiosissimo rumore che provocano, mi sto innervosendo.
Mi riprometto sistematicamente di toglierlo dal muro e sistematicamente lo dimentico; e ciò che sistematicamente accade è che mi torna alla mente quando è troppo tardi,cioè nei momenti di silenzio dei miei pazienti.
Sistematicamente, cioè secondo un determinato sistema.
Curioso che mi rimbombi nella testa questo termine mentre davanti a me, in silenzio nelle poltroncine, ho un sistema-coppia che mi fissa e aspetta che io dica qualcosa. 

No, non stiamo giocando al gioco del silenzio: all’ennesima domanda di F., P. ha risposto con un secco “niente, non c’è niente che non vada” e da quel momento siamo in silenzio.
Loro aspettano che io dica qualcosa probabilmente, che mi prenda la responsabilità di interrompere questo silenzio.
O invece sono concentrata a cercare di sintonizzarmi con l’emozione che sto provando: mi sento nervosa per il ticchettio di quello stupido orologio che dimentico sempre di far sparire dalla stanza.
Ma sono nervosa solo per questo?
Sento la mascella serrarsi, i pugni stringersi: questa è rabbia.
È rabbia mia, rabbia loro, o rabbia nostra?
Il modo più facile per sciogliere questo dubbio è chiederglielo.
“Siete arrabbiati?”
Scuotono la testa energicamente senza guardarsi fra loro: uno si irrigidisce e si mette a braccia conserte, l’altro accavalla le gambe e mi fissa con gli occhi che ormai sono diventati due fessure.
Li rimando descrivendogli le posture che hanno assunto i loro corpi in seguito alla mia domanda e ritento: “Siete sicuri di non essere arrabbiati?”.
P. esplode sciogliendo l’accavallamento delle gambe e si gira di scatto verso F. iniziando ad urlare ed inveire energicamente con mani e  braccia; F. sembra che non stesse aspettando altro, inizia ad urlare a sua volta fissando il soffitto e continuando a tenere le braccia conserte.
Li lascio sfogare e li ascolto mentre si urlano addosso e si rinfacciano cose accadute nel lontano 2008 quando P. era ad una festa e non aveva risposto al telefono per tutta la notte, o quando nel 2012 F. durante una cena con la sua famiglia non aveva preso abbastanza le difese di P. lasciando che i suoceri criticassero il suo modo di vestire ed entrambi si lamentano del fatto che sono ormai due anni che non fanno sesso.

“E meno male che non eravate arrabbiati, quando siete arrabbiati cosa fate?”
Qualche secondo di pausa, si guardano fra di loro ed entrambi scoppiano a ridere.
Rido anche io di gusto: mi piace lavorare con la rabbia, porta sempre con sé una carica energetica molto grande.
P. mi racconta che loro non litigano mai, che tendono sempre ad “abbozzare” su tutto e che l’uno non capisce mai se e quando l’altro è arrabbiato; F. conferma e mi racconta di come lui detesti arrabbiarsi e vedere gli altri arrabbiati.
Mi frulla in testa un’idea e gli propongo di fare un esercizio a casa: picchiare insieme il materasso del letto mettendosi dai due lati opposti e guardandosi. Entrambi accettano – anche se con qualche difficoltà – , gli do delle ulteriori indicazioni e ci diamo appuntamento alla settimana successiva.

Tic-Toc Tic-Toc Tic-Toc Tic-Toc
Niente, anche questa settimana mi sono fatta fregare ed ho dimenticato di togliere quello stupido orologio.
P. e F. sono appena entrati nel mio studio, si sono accomodati e dopo i convenevoli iniziali sono piombati nel silenzio.
“Allora, come state? Avete fatto quell’esercizio a casa?”
“Sì Dottoressa, l’abbiamo fatto.”
“E com’è andata?”
“Eh, l’esercizio credo bene, solo che dopo è successa una cosa strana.”
“E cioè?”
“Abbiamo fatto sesso.”
“Credo che il conflitto, esplicito o meno, sia un fattore importante nella vostra coppia, parliamone.”

Non ricordo più come mi firmavo

14 anni.
Il corpo cambia, l’umore balla il cha cha cha.
Non sei più unə bambinə ma non sei ancora unə adultə, né ti senti ancora a pieno titolo unə adolescente.

Il mio umore principale a quell’epoca? La rabbia.

Non sono certa di averla potuta provare nella forma più elaborata di un’emozione.

In quella lontana fase della mia vita però avevo un sacco di motivi per essere arrabbiata: tutto quello che avevo conosciuto fino ad allora si stava sgretolando e a nulla sarebbe servito far valere le mie ragioni o ribellarmi a ciò che stavo subendo. Era tutto troppo fragile per qualunque movimento o parola più decisi.

Eppure, di un bel conflitto devo averne avuto la voglia: è ciò che tiene in vita le emozioni, ciò che ti aiuta a definire i tuoi confini e a distinguere quindi ciò che ti appartiene da quello da cui vuoi prendere le distanze. È uno strumento fondamentale nella costruzione della nostra identità e del nostro stare in relazione. All’epoca una Playstation 2 e Tekken 4 mi vennero in aiuto. Conoscere la storia di vita dei personaggi, imparare le loro difese, le loro mosse di attacco e imparare a usarle per vincere la partita è stata una delle pochissime cose dotate di senso.

La possibilità di calarsi all’interno di una trama ricca di vicende familiari poco ordinarie come quelle che stavo vivendo io mi ha regalato uno sguardo sul conflitto che non so se avrei intuito così presto: combattere e vincere il torneo era un modo per dare spazio e forma a un proprio progetto esistenziale altrimenti schiacciato da eventi emotivamente ingombranti, perché tanto dolorosi.

Quanta saggezza dentro un picchiaduro!

Xiaoyu
 

Ψ   Fino a qualche anno fa il conflitto in adolescenza veniva vissuto principalmente per la contrapposizione tra le regole imposte dalla famiglia e dalla società e il bisogno di affermazione e di ribellione dell’adolescente. Il conflitto tra Super Io e Io, come definiti nella psicoanalisi classica.
Oggi, come afferma Lancini, il conflitto sperimentato dall’adolescente riguarda il confronto fra le aspettative ideali generate dalla famiglia e dalla società e la reale immagine di sé.