Noi non sappiamo ciò che vogliamo ma siamo pronti a mordere qualcuno per ottenerlo
Will Rogers
Uno dei principali benefici secondari dell’aver fatto il liceo classico è l’avere facilmente accesso all’affascinante mondo dell’etimologia delle parole.
Il verbo desiderare deriva dall’unione della particella de + il verbo siderare.
Siderare vuol dire contemplare le stelle a scopo augurale e indicava la pratica degli aruspici di cercare delle risposte alle domande umane nelle stelle.
Il de può essere inteso come particella avversativa, indicando quindi un’interruzione o una negazione dell’azione che potremmo tradurre più o meno così: non poter più guardare le stelle a scopo augurale o smettere di guardare le stelle a scopo augurale.
Le interpretazioni possibili sono tante, ma per me la più suggestiva è proprio smettere di guardare le stelle a scopo augurale, cioè ormai ho interrogato le stelle, sono a conoscenza del mio destino e non posso fare altro che (at)tendere ad esso.
Le possibili declinazioni del verbo desiderare e della parola desiderio sono tantissime, ma a me piace pensare che desiderio è libertà.
Desiderare qualcosa, seguendo l’interpretazione etimologica a me cara, prevede che tu ti sia posto delle domande e abbia già scrutato le stelle prima di poter desiderare e questo è un lusso che non tutti possono permettersi. Per quanto sembri una cosa scontata, avere la possibilità di essere in contatto profondamente con se stessi e con i propri desideri non lo è affatto.
Per poter desiderare bisogna essere liberi, non essere schiacciati dal desiderio dell’altro ma avere la possibilità di essere soggetto desiderante: solo questo ci permette di poter essere anche oggetto del desiderio dell’altro, e dunque di essere amati.
La libertà del desiderio è il regalo più grande che possiamo fare a un altro essere umano: un regalo che non si esaurisce nel momento in cui viene elargito ma che, al contrario, può crescere, fiorire e diffondersi all’infinito.
Tanti filosofi e psicoanalisti hanno parlato del desiderio, ma è molto suggestiva la spiegazione a partire da Lacan (ma non solo) che ne ha dato Massimo Recalcati.
Z.
L’immagine che vedete qui sopra in copertina – molto diffusa in questi giorni – è comparsa a Santiago del Cile ad opera di un collettivo di artisti audiovisuali di nome Delight Lab. Me ne è molto chiaro il senso dal punto di vista socioeconomico, ma le lenti che utilizzo di solito per analizzare la realtà mi fanno porre la domanda in un senso più soggettivo e personale.
I primi giorni di questo isolamento sono stati pieni di voglia di muoversi, ad ogni costo. Creare cose nuove, imparare, costruire. Negli ultimi giorni, invece, vado a letto con un senso di profondo fastidio. La stessa sensazione accompagna il risveglio ed è un lungo combattimento – col passar delle ore – per ricordarsi i motivi per non desistere. Ed in effetti ce n’è più di uno.
Soprattutto negli anni ho imparato a incuriosirmi di quello che mi accade, specie quando mi è scomodo, come se in questa scomodità fosse contenuta la chiave di un’esplorazione che ancora non ho fatto, la possibilità di accedere a luoghi in cui ancora non mi sono permessa di entrare. Ogni vissuto ha una sua storia che ne raccoglie il senso, ma contiene in sé anche una destinazione verso cui tende, un orizzonte, una possibilità. Ma è nel qui ed ora che tutto questo emerge e si rende visibile, se si riesce a restare in ascolto.
Non so ancora bene cosa il mio fastidio racconti. Più lo contatto più credo che la possibilità racchiusa in questo forzato presente – senza un orizzonte temporale chiaro – sia quella di riconoscere quel normale che era in fondo scomodo e ascoltarlo. Per quanto possa essere faticoso, forse è questo il momento in cui è possibile entrare in contatto con le proprie mancanze e ricordare a se stessi: verso dove voglio muovermi?
Cos’è che davvero desidero?
Eastita
Niccolò Fabi – Filosofia Agricola
Il muro dei desideri
Qualche giorno fa mi è capitato di sentire alla radio un intervento di Luciana Littizzetto. Parlava del sentirsi in questo periodo come una zattera in mezzo al mare: in certi giorni il mare è tranquillo, c’è il sole, in certi altri il mare è agitato, si teme l’arrivo dello squalo. In nessun caso si vede l’orizzonte. Non si sa dove si sta andando.
L’immagine mi ha colpita. Sento su di me l’alternarsi di momenti di luce, a volte è proprio il sole fuori a riflettersi sul mio umore, ad altri di cupezza. Si parla del dopo, al futuro, ma è un futuro indefinito di cui non sappiamo né possiamo tracciare i confini temporali. Al momento l’orizzonte non si vede, tantomeno si avvista la terra.
Mentre attendiamo di (ri)tornare a vederlo, possiamo colorare i nostri muri di tutti i desideri per “quando tutto questo finirà…”. Io e la mia coinquilina lo abbiamo fatto letteralmente.
Q