Tutti a dire della rabbia del fiume in piena e nessuno della violenza degli argini che lo costringono.
Bertolt Brecht
– In copertina Jean-Michel Basquiat – Untitled, 1981 –
Clarissa Pinkola Estés – psicanalista statunitense – nel suo libro culto Donne che corrono coi lupi, scrive:
Arrivano momenti in cui diventa d’obbligo liberare una rabbia che scuota i cieli.
Perché ci arrabbiamo? Cosa ci chiede la nostra rabbia?
La rabbia è un motore – e noi ogni tanto siamo barchette che arrancano un po’. È una voce profonda, sta in pancia… è un urlo che ha un sacco di cose da dire, ma non ha parola e chiede di trovare una voce che possa metterla al mondo. La rabbia ci aiuta a perdere le illusioni e lo fa solo quando accettiamo di correre il rischio di incontrare l’aspetto della nostra natura che è davvero selvaggio.
La scrittrice non parla di un mero sfogo fine a sé stesso, ma di una trasformazione che passa attraverso una dura scalata della montagna per andare a conoscere la nostra psiche istintiva: non è una tipa semplice quella lì, nelle fiabe può essere rappresentata come un orso, una volpe, una tigre, chiede sforzo e sacrificio. Ciò che è certo è che all’inizio rifiuterà il cibo e l’acqua che le porteremo nel tentativo di ingraziarcela, ma se avremo rispetto ci darà ciò che chiediamo. Vuole essere trattata bene la nostra rabbia, vuole sapere che per noi è importante, che la accogliamo come una maestra, come qualcuno da invitare al nostro tavolo perché ha cose molto importanti da dirci.
Quando la collera bussa alla nostra porta dobbiamo tenerla in attesa, ritirarci sulla montagna, ascoltarla e intraprendere infine l’azione giusta. Non è una pozione magica… è un processo, una pratica da coltivare: la nostra vita può arricchirsi grazie alla rabbia, ma dobbiamo ogni volta accettare la fatica di scalare.
C’è una fiaba giapponese che parla proprio di questo: la rabbia compare come un personaggio che è stato in guerra, mentre qualcun altro si farà carico della lunga e faticosa scalata della montagna. Potete leggerla qui!
Quelpostoche
Da tre anni lavoro con i bambini. Da tre anni mi trovo spesso a confrontarmi con il tema della rabbia: la loro. E la mia.
Per come sono cresciuta io, la rabbia l’ho maneggiata poco. Un clima teso sì, dei litigi sì, rabbia repressa anche.
Ma la rabbia quella esplosiva, furiosa, incontenibile, aggressiva fino ad essere violenta, quella no.
Di fronte a una persona che urla io mi paralizzo. Di fronte a un bambino che esplode per la rabbia ho dovuto imparare a non farlo.
Probabilmente ciò che mi blocca è lo sconosciuto – io non riesco ad alzare la voce neanche per farmi sentire quando ordino un caffè al bar. E se solo ci provo, mi viene il mal di testa!
I bambini mi raccontano che non riescono a contenersi. Che la rabbia quando arriva li schiaccia come un carrarmato ed esce da loro impetuosamente.
Fanno fatica a tenerla dentro, perché – a quanto dicono – è questo che gli viene chiesto dagli adulti: Non ti arrabbiare. Non c’è bisogno. Lascia perdere, non ne vale la pena.
Quello che mi hanno insegnato tutti questi bambini è quanto sia importante raccontare loro (e anche a noi) che la rabbia è normale, giusta, coerente, inevitabile, utile.
Soprattutto addomesticabile.
Non raccontiamo ai bambini che la rabbia va repressa o ignorata, insegnamo loro a farla uscire piano piano, come l’aria da un palloncino.
Aiutiamoli ad ascoltarsi e a trovare le parole giuste:
Mi sento arrabbiat*
Mi sento infastidit*
Mi sento furios*
Mi sento dispiaciut*
Mi sento frustrat*
Mi sento sospettos*
Becca
Vi lascio alcuni spunti per grandi e piccini: Che rabbia! di Mireille d’Allancé e le Rime di rabbia di Bruno Tognolini.
Come sarebbe se gli dèi di tutte le ere e tutte le culture camminassero sulla terra come persone qualsiasi? E se vecchi dèi e nuovi (Televisione, Denaro, Tecnologia) si scontrassero in una guerra sotterranea? La premessa di American Gods porta a sviluppi sorprendenti, avvincenti e dal fortissimo messaggio simbolico e filosofico, in un classico della letteratura americana contemporanea. Succede poi che il libro di Neil Gaiman viene trasposto sul piccolo schermo dallo showrunner Brian Fuller, acclamato autore di serie TV fuori dagli schemi come Dead Like Me, Hannibal e Pushing Daisies: la cosa più vicina a un telefilm fatto da Tim Burton, perfetta da vedere in tempi di distanziamento sociale.
A questo felice matrimonio aggiungiamo Michael Green – sceneggiatore tra gli altri di Blade Runner 2046 e della serie Heroes – un cast spaziale e in grande forma – Ricky Whittle, Emily Browning, Ian McShane – e una trasposizione fedele nello spirito, ma dalle sorprendenti digressioni. In una di queste, Anansi è il dio-ragno dell’inganno e della conoscenza che viaggia su una nave negriera dall’Africa Occidentale verso i Caraibi.
Merde, voi ancora non sapete che siete neri. Pensate di essere solo persone.
Sotto le sembianze di Mr. Nancy sobilla gli uomini ridotti in schiavitù raccontando dei secoli di ingiustizie, violenze e oppressioni che loro e i loro discendenti dovranno subire da parte dell’autoproclamato uomo bianco. E’ qui che comincia a emergere la rabbia, reazione tipica all’ingiustizia tra gli schiavi, prima in uno e poi in tutti gli altri.
Come a rimarcare il collegamento tra vicende passate e contemporanee, Orlando Jones nella sua interpretazione cambia accento da afroamericano, ad afrocaraibico e dell’Africa Occidentale: il suo messaggio è atemporale, trasversale. Lo comprende uno schiavo nel ‘600 su una nave olandese così come a noi fa risuonare la vicenda di George Floyd, Black Lives Matter, la segregazione, il razzismo.
Angry is good. Angry… Gets. Shit. Done.
La rabbia è un bene. La rabbia… risolve. Ogni. Stronzata
Come da lui richiesto gli schiavi si ribelleranno, uccideranno gli schiavisti e daranno fuoco alla nave, perendo essi stessi. Qui emerge il livello ulteriore che rende grande American Gods: Anansi, dio degli inganni, non fa una falsa profezia, non mente rispetto al futuro, ma nasconde la sua vera motivazione. Un dio esige un sacrificio, ha bisogno di atti estremi compiuti in suo onore per esistere come entità, e alla fine è quello che ottiene.
Mr Nancy è l’interprete e il catalizzatore di una mentalità che oggi chiamiamo irrazionale, magica, passionale, contrapposta alla bonaria, fredda, spietata razionalità dei nuovi dèi. Su quale sia migliore né Neil Gaiman né Brian Fuller ci offrono un giudizio chiaro: sta al lettore/spettatore interrogarsi su questo fondamentale conflitto.
Ironico, intimo, onirico e brillante nei dialoghi, clicca qui per vedere American Gods su Prime Video e qui nel caso uscisse su altre piattaforme.
Larsen
«E’ come quando cucini le patate: le metti in pentola con l’acqua, copri e fai cuocere. Ma anche se la fiamma è molto alta se spegni dopo soli cinque minuti le patate non saranno cotte. La tua rabbia è proprio così: ha bisogno del giusto tempo di cottura. All’inizio è cruda e non si può mangiare. E’ difficile farsi piacere la rabbia; solo se sai prenderti cura di essa, se sai cucinarla, puoi trasformarla in energia positiva: comprensione, consapevolezza, compassione»
Thich Nhat Hanh – Spegni il fuoco della rabbia, 2001
“Aceddu ‘nta iaggia, canta o pi amuri o pi raggia”