“Umano, troppo umano” titolava Nietsche nel 1878 ma non aveva ancora conosciuto Carl Rogers, fondatore dell’Approccio basato sul cliente che metteva in modo esplicito la persona al centro del lavoro terapeutico, che sarebbe nato l’8 Gennaio 1902 in Illinois.
Cogliamo l’occasione della ricorrenza per fare gli auguri al nostro umanissimo amico Carl e ricordare il potente impatto storico del suo pensiero e del suo impegno, che è andato ben oltre i confini della psicologia: il suo esempio ci ricorda quanto sia importante essere psicologꞫ anche e soprattutto al di fuori della stanza di terapia, nel nostro modo di leggere le cose del mondo.
Carl Rogers ricevette, infatti, la nomination per il premio Nobel per la Pace nel 1984, come riconoscimento al suo impegno attraverso Conferenze Internazionali e Gruppi di Incontro nei conflitti in Ulster, in Palestina e in Costa Rica; non è possibile separare la visione della psicoterapia di Rogers dal suo impegno per la società civile e la chiave di lettura potremmo rintracciarla nella sua particolare visione della natura umana e del cambiamento, che metteva al centro l’individuo riconoscendogli un’innata capacità di autodeterminazione, volta a perseguire specifici scopi interni come il benessere e l’autoregolazione.
Questa idea semplice ma estremamente rivoluzionaria – in netto contrasto con ciò che la psicoanalisi portava avanti – ha spinto Rogers a ribaltare il concetto di malattia e cura, rifiutando il termine paziente e sostituendolo con cliente. L’idea era quella che non esistesse una malattia mentale da curare, quanto delle difficoltà da affrontare che la persona, grazie alle sue risorse, era in grado di superare autonomamente.
La terapia centrata sul cliente (nota anche come terapia non direttiva o terapia rogersiana) nacque all’interno della psicologia umanistica che nel Manifesto dell’Associazione di psicologia Umanista, sottoscritto nel 1962 da vari e importantissimi autori, tra cui Adler, Allport, psicologi della Gestalt e fenomenologici e Carl Rogers, porta avanti una nuova visione dell’individuo e delle relazioni, che rimette la persona al centro e pone l’accento sull’aspetto dinamico e interattivo della vita psichica e sull’organizzazione democratica, come trampolino per raggiungere forme di esistenza e organizzazione della società sempre più umane.
L’ipotesi che le qualità dellə terapeuta siano la condizione necessaria e sufficiente per la riuscita della terapia (e non il suo approccio teorico o le tecniche di cui si serve) e il focus sul mondo fenomenologico del cliente sono le basi su cui poggia la Terapia Centrata sul Cliente.
La relazione tra terapeuta e cliente diventa quindi centrale nella terapia e deve avere le caratteristiche di non-direttività, empatia e accettazione.
Non è infatti compito dellə terapeuta stabilire quali siano gli obiettivi che lə cliente deve raggiungere ma lə terapeuta deve essere una figura di supporto che può aiutarlə a confrontarsi con le sua esperienze, a dargli un senso e a riorganizzare la propria vita, come se fosse unə compagnə nel viaggio di auto-scoperta che lə cliente fa di se stessə.
Nell’essere col cliente lə terapeuta esprimerà i suoi tentativi di comprenderne l’esperienza attraverso il rimando: lə terapeuta potrà rimandare emozioni, esperienze e sentimenti che lə cliente esprime o cerca di esprimere, senza andare al di là di ciò di cui è consapevole e questo è il punto di differenziazione più importante tra il rimando e l’interpretazione.
Il modello di intervento di Rogers rispecchia in modo onesto e fedele il modo in cui lui ha condotto la sua vita, prodigandosi nel ruolo di mediazione nei conflitti cercando di comprendere e di empatizzare con le parti, anziché porsi al di sopra in modo direttivo.
Un insegnamento di grande e profonda umanità che ancora oggi andrebbe ricordato e tenuto a mente nel momento in cui lə paziente/cliente entra in stanza e ci concede di entrare nel suo mondo. Dunque, a 120 anni di distanza, grazie ancora Carl e buon compleanno!