complèsso1 agg. [dal lat. complexus, part. pass. di complecti «stringere, comprendere, abbracciare»]. – 1.a. Che risulta dall’unione di più parti o elementi (contr. di semplice) (…) che ha diversi aspetti sotto cui si può o si deve considerare e di cui bisogna tener conto (…) 4. In matematica, numero c., locuz. usata con due sign. diversi(…).
Edgar Morin, filosofo e sociologo francese di appena 100 anni, è famoso per aver formalizzato l’epistemologia della complessità, detta anche scienza della complessità, sfida della complessità oppure pensiero della complessità.
Detto così non suona molto immediato come concetto.
Cercheremo di semplificarlo, anche se Morin non sarebbe affatto d’accordo con quest’approccio. In due righe (e mezzo): la realtà è fatta di complessità, per conoscerla ci serve un pensiero altrettanto complesso, al quale si può arrivare solo tramite una riforma del pensiero stesso.
Fila, ma restano da chiarire cosa vuol dire complessità, cosa è il pensiero complesso e come si attua una riforma del pensiero. Spoiler: c’entra la scuola. Vediamo.
Cosa si intende per complessità?
Di solito usiamo complessità per indicare la confusione, la complicazione. Secondo Morin c’è complessità quando le differenti componenti che costituiscono un tutto sono inseparabili, cioè quando le parti e il tutto sono interconnessi non da legami lineari di causa > effetto, ma come in un intreccio in cui le cause agiscono sugli effetti e gli effetti sulle cause.
Se volessimo pensarlo con un’immagine, guardiamo al senso originario del termine complexus: “ciò che è tessuto insieme”.
E’ la nozione di sistema: un insieme che non esiste come puro assemblaggio di parti, ma attraverso un’organizzazione.
Rispecchia un po’ l’antico concetto il tutto è più della somma delle parti: l’organizzazione di un tutto produce nuove qualità assenti nelle parti isolate (cosiddette emergenze, poiché letteralmente emergono dal tutto). Morin aggiunge che “il tutto è anche meno della somma delle parti”: uniti in sistema gli elementi rinunciano a certe caratteristiche specifiche, cioè il sistema impone dei vincoli, delle inibizioni.
Utilizzando queste definizioni, possiamo dire che la società è un sistema: gli individui, tramite interazioni, producono la società che produce, tramite nuove proprietà come, ad esempio, la cultura, gli individui.
La natura è un sistema complesso e l’uomo è un sistema complesso. La realtà che viviamo e i suoi problemi sono complessi.
Come conoscere la realtà complessa?
Morin si schiera contro l’approccio riduzionista basato sulla scomposizione dei problemi: l’analisi delle singole componenti separatamente che svela la semplicità nascosta dall’apparente complessità del mondo (l’avete letto con tono aulico? Chiedo perché così l’ho immaginato mentre lo scrivevo).
È l’approccio di Cartesio che suddivideva i problemi complessi in sotto-problemi più semplici. Il punto di vista di Morin, invece, è più in linea con la massima del drammaturgo George Bertrand Shaw: “per ogni problema complesso c’è una soluzione semplice, che è sbagliata”, o quantomeno parziale. La riduzione ha portato alla separazione delle discipline, al dualismo tra cultura umanistica e cultura scientifica, a un sapere settorializzato.
L’iper-specializzazione dei saperi impedisce di vedere il globale, “unidimensionalizza il multidimensionale”.
Un esempio pratico? La diga di Assuan: è stata costruita per sfruttare la forza meccanica del Nilo per produrre energia elettrica, senza contemplare i risvolti negativi sulla fertilità di quei territori e altri problemi ambientali.
Per conoscere la realtà, al contrario, serve un pensiero globale, multidimensionale, che unisce e non separa, che collega, che inserisce nel contesto.
Serve un pensiero complesso, un pensiero che supera la confusione, un pensiero organizzatore.
Come si forma il pensiero complesso?
Per Morin è necessaria una vera e propria riforma del pensiero. Questa riforma incontra delle condizioni favorevoli e altre sfavorevoli.
Le prime provengono dall’affermazione dell’idea sistemica in ambito scientifico: un processo di rinascita delle “entità globali che erano state affettate come salami” (il cosmo, la natura, la vita, l’uomo) tradotto in nuove scienze sistemiche, come l’ecologia.
Quelle sfavorevoli sono insite nel sistema educativo (scuola di ogni ordine, compresa l’università). La riforma del pensiero passa, quindi, da una riforma dell’insegnamento.
A scuola insegniamo a conoscere gli oggetti isolandoli in discipline, mentre bisogna anche collocarli nel loro contesto naturale. E’ chiaro che la riforma non deve mirare ad annullare le capacità analitiche, ma ad aggiungervi un pensiero che colleghi.
Essere capaci di interconnettere, di concepire l’insieme, di accettare l’incertezza implica, inoltre, conseguenze etiche: sviluppa la solidarietà tra umani, un senso di responsabilità e cittadinanza.
A questo punto ci troviamo nel blocco della relazione circolare dell’uovo e la gallina: la riforma della società richiede una riforma della scuola che richiede a sua volta una riforma della società.
Qualsiasi modifica in uno dei due termini tende a modificare l’altro.
Bisogna saper cominciare e l’inizio non può che essere deviante e marginale, una minoranza di insegnanti che si autoeduchi con l’aiuto degli educati.
Per Morin l’insegnamento non è una funzione o una professione, ma una missione, la missione di trasmissione. Richiede, oltre a competenza e tecnica, anche arte e l’arte si basa sull’Eros: desiderio e piacere di trasmettere conoscenza e amore per gli allievi.
“Il sapere non ci rende migliori né più felici”, diceva Kleist, ma l’educazione può aiutare a diventare migliori e, se non più felici, ci insegna a vivere nel nostro tempo.